"Ogni verità passa attraverso tre tappe.
All'inizio viene ridicolizzata.
Poi viene contrastata violentemente.
Infine viene accettata come ovvia."
(Schopenhauer)
Il cancro è una patologia che assume diversi nomi in base alle caratteristiche morfologiche e al tessuto d'origine (leucemia, linfoma, sarcoma, osteosarcoma, emangiosarcoma, adenocarcinoma, carcinoma, melanoma, mesotelioma, gastrinoma, insulinoma, etc.), ma ha la comune caratteristica di essere costituito da una proliferazione cellulare più o meno abnorme e afinalistica ( cioè senza uno scopo collegato al mantenimento dell'integrità dell'organismo ospitante).
Il contatto frequente con la sofferenza e l'esito infausto imposti dalla malattia tumorale, il ricorso a protocolli di chemioterapia sempre più aggressivi ad ogni ricaduta del male, senza peraltro riuscire a vincerlo, nonché l'utilizzo di farmaci dotati essi stessi di potenziale spiccata cancerogenicità e associati ad effetti collaterali spesso devastanti, mi convinsero del bisogno di mutare completamente strategia.
E' così che volsi il mio sguardo allo studio approfondito delle terapie biologiche antitumorali, ed in particolare a quella elaborata ed applicata dal medico e fisiologo Prof. Luigi Di Bella. Già dagli anni novanta decisi pertanto di seguire questo percorso, cercando di conoscerne non solo lo schema generale, ma soprattutto la fine e complessa modulazione dei plurimi principi attivi, secondo i tempi, i modi e le posologie richiesti dal singolo caso. Nella personale consapevolezza che il cancro sia vita deviata da riportare nell'alveo della normalità, nel rispetto dei meccanismi di omeostasi ed efficienza immunitaria del malato, nonché nella tutela della sua qualità di vita.
La patologia tumorale è in rapido incremento statistico a causa dell'aumento della durata di vita di cani, gatti e degli altri nostri animali. Le possibilità terapeutiche rimangono invece sostanzialmente incentrate su chemioterapia, radioterapia e chirurgia, con solo limitati approcci differenti.
La chirurgia asporta meccanicamente le masse anomale sviluppatesi, ma poco può sulla metastatizzazione: bene quindi qualora trattasi di sollevare il paziente dal disagio collegato alla presenza fisica del tumore (dolore, compressione su altre strutture vicine, pericolo di infiltrazione locale o di ulcerazione del tumore stesso con conseguenti emorragie o infezioni), o in determinati casi per ridurre la capacità della massa primaria di disseminare cellule maligne in tutto l'organismo. E' punto cardine però, a parere dello scrivente, che l'atto chirurgico non debba creare menomazioni che peggiorino gravemente la qualità di vita del nostro animale: in modo diretto, o indiretto come conseguenza di lunghe e stressanti (per lui) terapie di supporto conseguenti all'intervento; ciò potrebbe infatti dare l'illusoria certezza di aver debellato il male, ma creerebbe uno stato di debilitazione psicofisica che faciliterebbe l'attecchimento e il proliferare delle metastasi stesse.
Quindi massima efficacia della terapia chirurgica in caso di lesioni benigne, ma con accorta valutazione del singolo caso se maligne.
Alla luce di quanto sotto riporterò, ho quindi deciso di affrontare la patologia cancerosa con un approccio diverso dagli usuali schemi; un approccio basato sulla combinazione sinergica di più principi attivi di derivazione in gran parte naturale, nella consapevolezza che i normali equilibri e le potenzialità di difesa insiti nell'organismo stesso siano assolutamente da preservare, anzi stimolare; con il primario obiettivo di agire sì sul male, ma nel rispetto rigoroso della qualità di vita dei nostri animali.
Si precisa inoltre che tale approccio non è ancora riconosciuto nella sua interezza dall'oncologia tradizionale.
Tengo in massima considerazione il forte legame affettivo che lega ogni essere umano al proprio animale: a tal fine quindi il proprietario viene coinvolto durante tutte le fasi del percorso terapeutico che si snoda dal momento in cui l'animale viene portato alla prima visita alle successive fasi della cura del tumore.
Per meglio illustrare il mio pensiero e la conseguente diversa scelta terapeutica bisogna prima, però, sgomberare il campo da alcuni luoghi comuni che la scienza ha ormai dimostrato privi di fondamento.
La cellula tumorale viene ancora da molti considerata come un'entità "impazzita", "anarcoide", "priva di ogni meccanismo regolatorio": una sorta di "alieno- scherzo- della- natura", barbaro invasore di quella cittadella perfetta e organizzata che è un organismo complesso come il nostro e quello dei nostri animali. Se così fosse il problema cancro non esisterebbe in quanto ogni organismo riuscirebbe sempre e comunque a debellare ogni tumore nascente.
La prima regola per vincere un nemico è conoscere a fondo le sue armi, il suo modo di combattere, di "pensare", quali siano le sue astuzie, e qualora sia un agguerrito avversario riconoscerne con umiltà i punti di forza onde capire dove agire per vincerlo.
Basilare cambio di mentalità da attuarsi è comprendere che la cellula tumorale non è estranea a noi (dirò "noi" perché anche l'essere umano, dal punto di vista biologico, è comunque un animale) come lo può essere un esercito invasore giunto da chissà dove, con una propria divisa, una lingua straniera, delle proprie linee di rifornimento giungenti da un paese lontano; ma un guerrigliero nato dentro di noi, una parte di noi, che prima di manifestarsi nel proprio potere distruttivo ha superato con astuzia e plasticità tutte quelle linee di difesa che la natura ha creato per evitare che attecchisse e proliferasse.
Negli anni venti del secolo scorso Otto Von Warburg scoperse che la cellula tumorale era incapace di utilizzare lo zucchero come una normale cellula, ossia demolirlo fino a produrre solo acqua e anidride carbonica, ricavandone quindi il massimo di energia che la biologia consenta; ma lo zucchero viene invece, come fanno i lieviti, trasformato in acido lattico, ottenendone così un'energia trascurabile. Warburg concluse, pertanto, che la cellula tumorale avesse un handicap rispetto alle cellule normali; quindi un punto di forte debolezza su cui far leva per attaccarla. Oggi invece sappiamo che così non è: la cellula tumorale, in realtà, utilizza i composti intermedi della demolizione del glucosio (cioè il principale zucchero con finalità energetiche) per produrre altre sostanze (aminoacidi, cioè i "mattoncini" che formano le proteine; acidi nucleici, cioè il materiale genetico che ogni cellula deve avere per vivere e moltiplicarsi e che una cellula "madre" quindi forma in anticipo quando deve produrre delle cellule "figlie"; e grassi di struttura, cioè necessari per produrre le proprie membrane interne ed esterne) di cui ha bisogno per riprodursi; e che se li demolisse ulteriormente fino ad ottenere acqua e anidride carbonica, come fa la cellula normale, non potrebbe replicarsi in così grande quantità.
Quello che quindi si pensava un difetto rappresenta invece un mirabile adattamento per far ciò che la cellula tumorale meglio sa fare: riprodursi.
Verrebbe da pensare, allora, che questa debba rassegnarsi a trovarsi in carenza energetica; ma così non è perché le reazioni chimiche che utilizza a tal fine sono circa cento volte più rapide di quelle utilizzate sempre a fini energetici dalle cellule normali. In altre parole il suo sistema di produzione dell'energia è meno efficiente, ma molto più veloce. Per di più tale adattamento gli consente di consumare molto meno ossigeno, e quindi può crescere anche in presenza di scarsità di apporto di sangue (e ciò spiega perché inibire l'angiogenesi è, da solo, assai poco utile). Ma è molto più bisognosa di zuccheri e produce molte più scorie, per lo più acido lattico, che in condizioni normali la distruggerebbero. Pertanto ha elaborato un sistema multiplo di pompe in grado di espellere con grande efficienza l'acido in eccesso e catturare in gran quantità il glucosio e quant'altro le serva per crescere. E' l'organismo a fornirle ciò di cui ha bisogno, è l'organismo che dovrà disintossicare sé stesso dalle scorie che lei gli riverserà, è la cellula tumorale stessa ad autoprodursi (vedi tramite l' "effetto Warburg") ciò che l'organismo non riesce a fornirle! Un tale nemico non può essere considerato semplicemente un "pazzo", un "disorganizzato anarcoide"!
Ma dove la cellula tumorale dà, forse, il meglio di sé, è nella sua interazione con l'ambiente che la circonda, cioè quella sterminata e organizzata accerchiante moltitudine di cellule normali. Continuamente dentro di noi si formano cellule mutanti, "individui" incompatibili con l'insieme ordinato che compone il nostro organismo; per cui l'evoluzione ha creato un sistema di difesa, il sistema immunitario, in grado di riconoscere queste entità mutate ed eliminarle sul nascere. Il punto chiave è, per l'appunto, riconoscere: evitare cioè di distruggere ciò che invece è "a norma", non estraneo e va quindi preservato e difeso. Ma la cellula tumorale non è un batterio, un'entità esterna che si insinua da fuori dentro di noi come farebbe un comune microbo, ma nasce da una mutazione di una parte di noi: diverso in quanto mutante, simile in quanto nato da noi e divenuto parte di noi. Pertanto, se non subito eliminata e digerita dal sistema immunitario riesce a "mascherare" la propria parziale diversità, o ancora a cambiare identità immunitaria (le metastasi, che rappresentano le cellule dotate di maggiore invasività, una sorta di "corpo scelto" dell'armata neoplastica, hanno una riconoscibilità immunitaria diversa da quella delle cellule tumorali originarie: cioè una sorta di nuova identità che fa sì che se il sistema immunitario, qualora abbia acquisito i dati per riconoscere le cellule tumorali primigenie, non riesce a riconoscere i membri di questo "corpo scelto") o, ancora meglio, ad attivare quelle cellule del sistema immunitario dell'organismo (il cui nome scientifico è "linfociti T reg") che "ordinano" alle "truppe di difesa" di "mettersi a riposo" perché non vi sono nemici da combattere.
Abbiamo introdotto il termine "metastasi", ossia colonia fondata a distanza dalla massa tumorale primaria e vera causa della maggior parte delle sofferenze e delle morti per cancro. E per capire da dove nasca la "cattiveria" di una cellula metastatica dobbiamo conoscere il complesso addestramento bellico che ha subito. Partiamo dall'inizio del suo viaggio dentro di noi.
Come cellula tumorale primigenia ha dovuto sfuggire alla sorveglianza immunitaria locale, quindi riprodursi facendosi spazio tra le cellule normali vicine, superando quelle reti connettivali che circondano le cellule e delimitano i tessuti (ciò significa produrre enzimi che indeboliscano e distruggano queste barriere, sempre senza "fare troppo rumore" per non allertare troppo il sistema immunitario!). La propria contemporanea moltiplicazione crea però una colonia che deve essere in grado, aumentando velocemente di dimensioni, di "comandare" all'organismo di produrre una rete di vasi che porti i nutrienti e dreni via le scorie. E qui si crea un altro miracolo dovuto alla plasticità della cellula neoplastica: più è alta la malignità locale, cioè la sua velocità di crescita e la sua mobilità all'interno del tessuto ospitante, più riesce a sopravvivere in povertà di nutrizione ematica, cioè scarsità di ossigeno (vedi "l'effetto Warburg" sopra citato) e ricchezza di acidità (vedi le scorie acide prodotte): tale acidità inoltre inibisce ulteriormente l'efficacia del sistema immunitario locale e distrugge le barriere connettivali locali. Già qui deve essere in grado di ingannare il sistema immunitario non facendosi riconoscere come elemento estraneo, e utilizzando astutamente la reazione infiammatoria indotta contro di sé come elemento facilitatore per ricevere sostentamento e migrare altrove. Il passo seguente è entrare dentro un vaso, prevalentemente linfatico o ematico a seconda del tumore, opponendosi al sistema di difesa di barriera ed infine, una volta nella circolazione, "navigare" alla ricerca di una nuova destinazione. Se c'è un qualcosa che normalmente non manca nel sangue è tutta la sequela di cellule e sostanze chimiche che compongono il sistema di difesa immunitaria, e che durante questo viaggio cercheranno di fermare e distruggere la cellula neoplastica. Ma non è ancora finita! Dovrà non solo estravasare in un nuovo tessuto ospite oltrepassando, questa volta in senso inverso, la parete dei vasi, ma anche riconoscere quale sia la regione anatomica più consona per impiantare una nuova colonia. Ad ogni passo ha dovuto quindi eludere e vincere le difese dell'organismo, se non addirittura volgerle a propria protezione, quindi riconoscere dove fosse meglio "metter su casa" ingaggiando anche nella destinazione finale una dura lotta con il sistema immunitario qui presente, le reti connettivali di barriera, le cellule normali qui residenti, la necessità di crearsi una propria rete di vasi... Di fronte ad un simile nemico e considerando che dentro di noi si formano in continuazione cellule mutanti sembrerebbe, quindi, che ogni organismo debba soccombere velocemente senza neanche giungere all'età riproduttiva necessaria al perpetuarsi della specie.
Ma la natura ha creato, all'interno di ogni cellula che faccia parte di un organismo complesso, come siamo noi e gli animali che ci circondano, un pool di geni il cui compito è di attivare l'apoptosi: cioè un meccanismo di suicidio programmato che si inneschi automaticamente quando nella cellula compaia una mutazione incompatibile con la vita di tutto l'organismo: una sorta di autodistruzione come quella che viene narrata in certi films di fantascienza, quando il computer di bordo dell'astronave impazzisce e comincia a voler far da solo. Come in questi films, è una sequenza rigidamente codificata, nel nostro caso affinata dalla selezione naturale, nata in contemporanea con la comparsa sulla terra di organismi pluricellulari, ossia fatti da insiemi organizzati di più cellule in cui ogni unità componente deve svolgere ben determinate funzioni per realizzare il fine ultimo della sopravvivenza dell'organismo in toto. Quindi ogni singola cellula mutante incompatibile con il tutto si autoelimina, in modo innocuo e senza dispendio di energia da parte dell'organismo (come invece capiterebbe con la "necrosi"). La finalità ultima di questo raffinato sistema di sicurezza, cioè il preservare il corretto funzionamento di quella colonia di cellule che è l'intero organismo, è evidente nel fatto che i geni dell'apoptosi mancano negli organismi più semplici, come i batteri. Qui infatti ciò che conta è il singolo individuo, slegato da cooperazioni coatte con altre entità, in cui la presenza di altre forme di vita è vissuta come minaccia o mezzo per la propria singola sopravvivenza. Vediamo ora cosa succede quando una cellula dei due diversi sistemi viventi venga a trovarsi in condizioni ambientali ostili, ma non così tanto da causarne la morte: ad esempio presenza di eccesso di scorie, inquinanti ambientali, infezioni virali, carenza dei meccanismi di omeostasi (vedi per esempio elementi vitaminici antiossidanti,etc.), situazioni stressogene come un focus di infiammazione cronica. La cellula costitutiva di un organismo pluricellulare, qualora subisca danni importanti alla propria integrità, compresi quelli che aprono la strada ad una possibile deriva neoplastica, attiverà il sistema dell'apoptosi, cioè quel meccanismo di morte programmata predefinito in ogni suo passaggio da determinati geni che l'evoluzione ha selezionato con la finalità di bloccare sul nascere la possibilità di avere nell'organismo cellule mutanti. In tal caso, con un piccolo, insignificante suicidio programmato verrà mantenuta l'integrità di tutto il sistema organizzato. La cellula singola batterica, invece, attiverà il sistema SOS, basato su un altro pool di geni, comparsi sulla terra molto più anticamente di quelli dell'apoptosi e che la porterà ad incrementare le proprie capacità di sopravvivenza della specie tramite, soprattutto, l'autoriproduzione; qui il suicidio programmato non avrebbe alcun senso, essendo strategico invece aumentare velocemente la propria discendenza onde espandere con essa la possibilità di non estinzione. Quindi due strategie diverse, addirittura opposte, per ottenere un unico risultato: la sopravvivenza dell'individuo a condizioni ambientali ostili. Ove nel primo caso l'individuo è quell'insieme altamente organizzato che è un organismo pluricellulare, nel secondo la singola cellula.
Ebbene, la cellula tumorale non è altro che un'entità che "sceglie" di seguire la seconda via, quella della proliferazione ai massimi livelli a discapito delle regole organizzative dell'insieme a cui appartiene, ossia l'intero organismo. Ciò è possibile perché ogni cellula, anche quella normale animale purtroppo, ha dentro di sé, "in sonno", gli stessi geni del programma SOS; tenuti però, in condizioni normali, in stato di quiescenza. Sono qui presenti in quanto le cellule animali derivano, ahimè, dalle stesse cellule batteriche che in un antico tempo evolutivo, risalente a miliardi d'anni orsono, si sono dapprima evolute in cellule animali e vegetali e quindi organizzate in colonie sempre più complesse di più unità. Però il materiale genetico originario, quindi anche quello per il programma SOS, non è andato perduto, ma tenuto stoccato in stato di inattività, represso da altri geni, all'interno della cellula: una sorta di software ancestrale e apparentemente non più utile, anzi, ora pericoloso.
L'oncologia tradizionale inizia solo ora a capire la portata epocale di tale concezione; ossia accettare che il cancro non nasce come entita' estranea aberrante, ma trae le proprie primigenie origini dalla storia evolutiva della vita stessa su questo pianeta: figlio del "peccato originale" di avere un unico antico progenitore: la cellula singola batterica.
L'ultimo tassello per comprendere le capacità di sopravvivenza di questa straordinaria entità sono i così detti Fattori di Crescita. Sono conosciuti con varie sigle: IGF, FGF, EGF, PDGF, VEGF, TGF, NGF, GH, etc.; o nomi: SOMATOTROPINA, PROLATTINA, GASTRINA, ormoni sessuali (questi ultimi con attività stimolante o inibente a seconda delle circostanze) ed altri. Sono sostanze normalmente prodotte nel nostro organismo con lo scopo di stimolare le varie cellule a proliferare per favorire i processi di riparazione e rinnovamento (stimolano o inibiscono la proliferazione delle cellule immunitarie, stimolano la formazione di nuovi vasi sanguigni e linfatici, la produzione di collagene, la crescita delle unità costitutive dei vari organi): sono quindi mediatori chimici di somma importanza i cui progenitori massimi nascono in gran parte nel sistema nervoso: esiste quindi un'interazione strettissima tra cervello e corpo, oggi approfonditamente studiata dalla così detta PNEI, ossia PsicoNeuroEndocrinoImmunologia. La funzione ultima di questi mediatori è di stimolare le cellule bersaglio a riprodursi, o produrre esse stesse sostanze (citochine) in grado di autoinnescare, innescare o comunque regolare in altre cellule la proliferazione. Sono "comandi" che vengono impartiti dall'organismo stesso nei modi, tempi e sedi necessari, secondo modalità finemente codificate. Ogni tipo di cellula presenta sulla superficie delle proprie membrane delle strutture (recettori) in grado di riconoscere questi fattori di crescita, per poi dare avvio ad una serie di reazioni chimiche che culmineranno con l'attivazione di quel pool di geni che promuoveranno la proliferazione cellulare.
Ebbene, la cellula tumorale ha una capacità di catturare questi fattori di crescita (e quindi venirne stimolata) enormemente superiore (fino a centinaia di volte) alla cellula normale: è come uno sportivo che decida di assumere una normale sostanza dell'organismo (vedi eritropoietina) a dosaggi molto più elevati, dopanti, per ottimizzare al massimo le proprie performances. Anche qui, si evidenzia la capacità del tumore di utilizzare al massimo le risorse ambientali (cioè dell'organismo) per il proprio fine riproduttivo: ciò che l'organismo attua per difendere e mantenere la propria integrità viene invece captato a vantaggio della crescita neoplastica.
Ma l'organismo, oltre ai noti fattori di crescita, possiede anche sostanze in grado di regolare, inibire la crescita cellulare. Infatti una volta che un determinato tessuto si sia rigenerato deve entrare in stato di riposo replicativo, ritornando alla sua normale funzione: alla replicazione deve seguire la differenziazione. Ossia la cellula che dapprima ha riprodotto se stessa per, ad esempio, riparare un danno tissutale, deve poi perdere la capacità replicativa per acquisire la funzione di svolgere il compito particolare a cui è deputato il tessuto a cui appartiene. Così una cellula epiteliale dell'intestino dovrà essere specializzata nell'assorbimento dei principi nutritivi, una renale nell'eliminazione delle scorie che entreranno a formare l'urina, una ossea nel produrre tessuto mineralizzato di sostegno, etc. etc.
Alcuni di tali inibitori di crescita vengono direttamente prodotti dall'organismo, come MELATONINA, SOMATOSTATINA e PIF, altri acquisiti dall'alimentazione, come molte vitamine.
Possono sia agire direttamente bloccando la proliferazione e riattivando a carico delle cellule cancerose quel mirabile meccanismo di sicurezza creato e perfezionato dalla natura che è l'apoptosi, cioè il suicidio programmato; sia indirettamente: vuoi promuovendo la redifferenziazione della cellula neoplastica (riportandola cioè ad avere le caratteristiche ordinate della cellula normale), vuoi ostacolando quelle condizioni che l'hanno portata a trovarsi in un ambiente ostile spingendola darwinariamente a riprodursi per sopravvivere (antiossidanti). Esiste quindi un complesso e raffinato equilibrio, fatto di effetti opposti e sinergici tra una miriade di sostanze, il cui fine ultimo è il governo di tutte le cellule che compongono un organismo.
Abbiamo quindi visto quanto la cellula tumorale sappia in senso lato "improvvisare per adattarsi e raggiungere lo scopo", nel senso che ha in sé tutte le risorse per sopravvivere ad un ambiente altamente ostile qual è un organismo complesso e ben organizzato:
- capacità di creare i propri elementi di struttura utilizzando "quel poco" che l'organismo le dà;
- eludere i sistemi di difesa con abili mimetismi inibendoli o facendo addirittura in modo che l'organismo, non riconoscendola come nemico, la difenda come parte di sé;
- migrare all'interno del corpo stesso superandone tutti i meccanismi di sbarramento fino a fondare nuove e più agguerrite colonie;
- utilizzare al massimo lo stimolo dei fattori di crescita quale "doping" interno.
Punto cardine di ognuno di questi processi è l'acquisizione, ad ogni ostacolo posto dall'organismo, di un livello di malignita' crescente.
Ciò spiega perché la chemioterapia citotossica classica, che affronta la cellula neoplastica con lo scopo di eliminarla completamente come fosse corpo totalmente estraneo, sia nella più parte dei casi destinata a non dare la guarigione. Aggredisce infatti l'organismo con cocktail e dosi crescenti di farmaci che finiscono per danneggiare anche le strutture sane dell'organismo, senza poter eliminare completamente il male.
"I farmaci chemioterapici, come molti altri farmaci, possono causare numerosi effetti collaterali già a dosaggi terapeutici. La chemioterapia è utilizzata per il trattamento dei tumori, tuttavia nella realtà colpisce tutte le cellule a rapida proliferazione, non è in grado quindi, di avere un'azione selettiva sulle cellule maligne e non sulle cellule sane." (tratto da "L'Alterazione Del Gusto Nei Pazienti Oncologici Chemiotrattati" - Master Universitario di Primo Livello in Nursing Oncologico - Ann. Acc. 2004-2005; Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Torino; M.Giori, M.A.Satolli, D.Centrella).
"I nuovi farmaci chemioterapici e le nuove tecnologie introdotte nella moderna radioterapia non hanno eliminato gli effetti collaterali, e la tossicità di grado elevato delle associazioni terapeutiche limita le potenzialità curative di molti farmaci e della stessa radioterapia." (tratto da "Medicina Oncologica" - ottava edizione ,2007 - G.Bonadonna, G.Robustelli Della Cuna, P.Valagussa. Elsevier Masson, pag.1754).
"Gli effetti collaterali da chemioterapia non solo alterano la qualità di vita del paziente ma comportano spesso anche una riduzione del dosaggio o l'interruzione del trattamento stesso, compromettendo così l'efficacia della terapia." (tratto da "Assistenza Domiciliare Integrata", cap. 15, pag.192; Bruno Andreoni. Masson, 2000).
La tossicità intrinseca in questo approccio è testimoniata dalla ciclicità: ossia la somministrazione di farmaci per determinati periodi "di carico massimo", nonostante si sappia di non eliminare completamente ogni futura ripresa del male; in quanto un ulteriore incremento dei tempi e delle dosi porterebbe alla morte del paziente, o ad effetti collaterali inaccettabili in termini di qualità della vita.
Le cellule cancerose superstiti poi acquisiranno, proprio in seguito all'ambiente citotossico ostile creato dalla chemioterapia tradizionale, caratteri ancora più aggressivi: facilitate in ciò dai danni indotti dai farmaci stessi sulle difese dell'organismo.
Ricordiamo, per quanto precedentemente detto, che la cellula tumorale nasce da noi, finisce per esser parte di noi, ha una capacita' a sopravvivere a condizioni estreme superiore alla cellula normale, ha un'adattabilita' che quest'ultima non possiede; in altre parole è un guerriero abile, sfuggente, ostinato, ben radicato nel territorio in cui combatte: non un esercito alieno con altre regole e mezzi esterni.
Precursore illuminato di questa fondamentale verità è stato, noto medico e fisiologo, il professore Luigi Di Bella, il quale affermò:
"Essere essenziale, piu' che l'inattuabile ed immaginaria uccisione di tutti gli elementi neoplastici, la realizzazione di tutte le condizioni, note, possibili e non dannose entro determinati limiti, atte a ostacolarne lo sviluppo (fino alla morte anche per apoptosi), soprattutto attraverso l'intergioco fra i numerosi fattori di crescita".
E ancora: "L'essenziale sta nell'attivare tutti gli inibitori dei noti fattori di crescita alle dosi e con tempestivita' e tempi opportuni. il protocollo mdb e' nato in quest'atmosfera, quella della vita e non dell'intossicazione e morte delle cellule, metodo che asseconda o esalta le reazioni vitali, senza ricercare con precisione statistica le dosi piu' opportune per uccidere. il tumore e' deviazione dalla vita normale, per cui occorre portare le reazioni deviate alla norma, attraverso l'esaltazione di tutti quei mezzi che la fisiologia considera essenziali per la vita normale". (Relazione tenutasi al Convegno "Melatonina: dalla ricerca agli interventi"; Reggio Calabria, 25/01/97).
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